Anche se logo e brand design sono materie che hanno ormai una lunga storia, serve sempre non dare niente per scontato. Nemmeno le basi: proprio perché logo e brand design sono legati alla loro funzione, che è quella di aiutare le aziende a raggiungere i loro obiettivi sul mercato.
Ed è il mercato, il contesto – economico, politico, culturale … – che cambia. In particolare nel 2024, e in queste prime settimane del 2025, sono successe un po’ di cose: dalle più piccole alle più grandi. Che però, viste tutte insieme, mi hanno fatto fare una serie di ragionamenti.
Voglio condividerli con te, perché penso che troverai delle indicazioni utili per la tua attività. Ma andiamo con ordine, con la prima domanda-bomba.
Il logo serve ancora a qualcosa?
No guarda, non è una domanda retorica e nemmeno un titolo acchiappa-click. Ma di una riflessione onesta, che prende atto di fenomeni che cominciamo almeno un paio di decenni fa, neanche a dirlo con la diffusione del digitale.
Più in generale, a cosa serve un logo? L’obiettivo primario di un logo, ne ho parlato parecchie volte, ad esempio qui, è identificare la realtà che rappresenta: un’azienda, un evento, un’istituzione, etc.
I loghi che meglio assolvono a questa funzione hanno tutti in comune determinate caratteristiche. Quindi un logo, per essere un buon logo, dovrebbe sempre essere:
- semplice
- appropriato
- distintivo
- durevole
- memorabile
- adattabile
Ma con l’avvento del digitale, l’accesso più semplice alla creazione e condivisione di contenuti, e la moltiplicazione dei canali di comunicazione, tutto è diventato un po’ più complicato.
Pensa a categorie come “memorabile” o “distintivo”. Riguardo alla prima, ad esempio, l’azienda americana Signs.com ha svolto uno studio davvero interessante su come le persone ricordano i loghi, intitolato appunto Branded in memory. In pratica hanno chiesto a 150 persone di disegnare dei loghi, quelli proprio super-famosi, quelli che trovi citati in qualsiasi manuale o risorsa sul logo design.
Il risultato? Beh… abbastanza triste per chi fa logo design. Solo una percentuale molto bassa di persone, per darti un’idea intorno al 10-20%, riesce a riprodurlo in maniera abbastanza precisa. Tutti gli altri diciamo che hanno un’idea solo molto, molto approssimativa del logo.

Ad esempio, solo la metà delle persone che ha fatto il test ricorda che la sirena di Starbucks indossa una corona.
Considera poi che questa ricerca è stata fatta prima della pandemia, e della diffusione dei contenuti short, tipo TikTok. Contenuti in cui, penso sarai d’accordo, il logo ha davvero un ruolo minuscolo.
Ma anche se guardiamo soltanto al logo design, senza interessarci di questi nuovi canali, dobbiamo dire che in pochi anni abbiamo registrato tutta una serie di fenomeni che mettono in crisi l’idea, granitica e tradizionale, del “solo e unico logo”. Come il momento in cui i loghi sembravano diventati tutti uguali, per cui era stata coniata la parola blanding, oppure lo sviluppo del concetto di variable logo.
Fenomeni che, tutti insieme, fanno persino dubitare che davvero il logo sia ancora davvero centrale come strumento che serve a comunicare l’identità di un’azienda. D’altronde già nella nostra Guida completa al Logo Design ti spiegavo che il logo è solo la punta di un iceberg: nasconde, sotto il pelo dell’acqua, la parte più grande e solida, cioè la brand identity.
Ecco, mano mano che la “punta” del logo si consuma, emerge una base più estesa e difficile da definire: appunto l’identità di marca.
Quello che è successo nel mondo del logo design durante il 2024 appena concluso non soltanto conferma questa tendenza, ma aggiunge altri elementi su cui riflettere.
In particolare il rebranding che ha fatto più discutere, quello annunciato e poi svelato da Jaguar, è stato molto criticato soprattutto perché ha visto sparire il pittogramma del giaguaro. Al suo posto un logotipo molto semplice, quasi anonimo, e per i formati più piccoli o quadrati un monogramma costituito da due “J” speculari.
In pratica, un non-logo? Non dimentichiamo, tra l’altro, che il 2024 è stato l’anno di “rebranding” molto molto cauti, quasi impercettibili, come quelli di Primark, Amazon (dì la verità, non ci avevi fatto caso), e in qualche modo anche PayPal.
E il 2025, com’è iniziato? Vediamo subito.
Walmart e brand-refresh

L’ultimo, e forse più eclatante caso da cui capiamo che oggi al logo non viene più data la stessa importanza che aveva alcuni decenni fa è proprio la diffusione di queste operazioni di refresh.
Walmart, storica catena statunitense di supermercati, ha mostrato una versione aggiornata di logo e brand image. Ma ci vuole un occhio davvero allenato per notare i cambiamenti; ammesso che ci si ricordi davvero la versione precedente. Già, perché anche il logo di Walmart fa parte di quelli analizzati nello studio di cui ti ho parlato prima, e, come un po’ tutti gli altri, anche nella versione precedente è risultato meno memorabile del previsto.

Dopo quest’ultimo intervento il font del logotipo ha un peso maggiore e un po’ più di originalità. Il pittogramma, lo spark, è stato anche lui “appesantito”, e reso più compatto.
Basta? … Basta: almeno sul fronte del logo. Perché, se invece guardiamo alla brand image, di certo molte saranno le novità legate a questa operazione. Dallo stile delle fotografie alle grafiche progettate per merchandising, packaging, abbigliamento da lavoro dello staff.
Insomma, tutto quello che costruisce una brand identity e non è (solo) il logo.
Se l’idea di Walmart è quella di non intervenire sul logo, salvo qualche piccolo ritocco che serve a dare un tono curato, e affidare al resto della brand identity una comunicazione più attuale, c’è chi va in direzione opposta.
Un logo, oggi, anche se serve, non basta. Se hai una clientela trasversale, offri tanti servizi su una scala geografica molto vasta, allora forse te ne servono di più… addirittura 25!
SNCF Voyageurs e i suoi nuovi loghi: sono 25

Ok, un attimo, ti spiego. Questa forse è una delle cose più interessanti di questo inizio 2025. SNCF Voyageurs è un’azienda francese che si occupa di trasporto ferroviario e che opera da soltanto 5 anni.
Per celebrare il primo lustro di attività, ma soprattutto per consolidare la conoscenza del marchio, o brand awarness, che va irrobustita visto che si tratta di un’azienda piuttosto giovane, ha affidato all’agenzia Rosa Paris un progetto davvero interessante.
Dove c’entra l’intelligenza artificiale, ma non nel senso che pensi tu. In questo caso infatti all’IA è stato affidato il compito di raccogliere e sistematizzare i dati raccolti dalle persone che hanno viaggiato con SNFC Voyageurs. Da questi, ricavare i principali interessi, le aspettative, le abitudini di viaggio di chi ha utilizzato il servizio.

L’agenzia ha quindi coordinato il lavoro di 25 talenti della grafica e del visual design in generale, a cui ha commissionato 25 varianti di logo. Nessuno di questi è un “vero” logo; peraltro rimane standard in queste soluzioni l’acronimo “SNFC”- quello che cambia è la scritta “Voyageurs”.
Una varietà estrema di soluzioni che però, in qualche modo, restituisce un’immagine davvero coerente. Perché è coerente l’obiettivo, sono coerenti i dati di partenza (possiamo dire, “il brief”), è coerente la qualità dei singoli progetti.
Insomma, non è più il logo a garantire coerenza e solidità della brand image, ma, alla fine, il contrario. È la coerenza della brand image a permetterci di riconoscere un logo, anche quando sono 25.
Un logo? Nessuno? Centomila?
Ma allora, quanti loghi servono oggi ad un’azienda? Oppure non ne serve nessuno?
In realtà, mai come oggi, vale la risposta “dipende”. Certo che, abbiamo visto, il logo è ormai uno tra i tanti strumenti che vanno a costituire la brand identity di un’azienda. E, in base ai suoi obiettivi di business, potrebbe essere il più importante, oppure no.
Questo non significa che il logo design abbia perso valore. Proprio in un contesto in cui il ruolo di un logo è diventato più complesso, ci vuole più competenza per progettare “quello”, o “quelli giusti”.
Ma nemmeno questo basta: la brand identity, con tutti gli strumenti visuali che la costituiscono, è diventata la vera spina dorsale di ogni operazione di branding e di re-branding.
Questa è una tra le tante tendenze del graphic design attuale che ci ha portati a rivedere completamente la nostra offerta e a lanciare Da 0 a designer. Un percorso guidato grazie a cui riusciamo a darti le competenze giuste per prendere in mano progetti anche articolati come un’intera brand image, con i suoi 25, o 50, o nessun logo.
Conclusioni
Abbiamo guardato per oltre un anno all’intelligenza artificiale come al fenomeno che avrebbe cambiato per sempre il mondo del graphic design. Forse non sbagliavamo, certo sarà così sul medio lungo periodo.
Ma forse abbiamo sottovalutato che il cambiamento del mercato e dei mercati avrebbe avuto ancora maggior impatto, e ribaltato alcuni valori che consideravamo intoccabili nella disciplina.
Come sempre tutto questo non fa che stimolarci a studiare, a usare la curiosità e ad alimentare la creatività. Fammi sapere nei commenti tu cosa ne pensi: secondo te davvero i loghi servono ancora? ti sembra interessante proporre molti loghi, da usare tutti insieme?
Aspetto di sapere la tua e intanto ti saluto
Alla prossima!
Ciao! Molto interessante. Sono d’accordo. Oggi, più di ieri, non ha più senso considerare il logo come progetto a se, ma come parte (sempre distintiva) della brand identity, che sta assumendo sempre più rilevanza.
Riguardo la memoria sui loghi, probabilmente neanche io saprei ridisegnarli fedelmente, però me li ricordo!
Sull’esperimento dei 25 loghi per Voyageur rimango leggermente scettico sulla riconoscibilità, ma comunque inteliggente l’inserimento si almeno NSCF come elemento distintivo.
Ciao!
Ciao Adriano, sì concordo su tutto. È più effettivamente un esperimento sulla brand identity. Come hai notato il logo (nella parte SNCF) rimane lì, fermo. Però meno rilevante della parte di identity