Se ti stai avvicinando test al mondo della UX o sei già un UX/UI Designer navigato, allora questo articolo, in cui ti vado a parlare di 6 principi che ogni UX Designer dovrebbe conoscere, è pensato per te.
In altri articoli abbiamo già spiegato che cos’è la User Experience (o UX) e abbiamo già parlato anche del processo creativo che lo UX Designer dovrebbe mettere in atto quando approccia un nuovo progetto.
In questo articolo voglio però approfondire meglio il discorso su quelli che sono i principi fondanti della UX.
I principi della UX: prima di tutto, bisogna conoscere le persone
Progettare l’esperienza di un prodotto (fisico o digitale), o di un servizio, significa mettere al centro del progetto l’utente e applicare, quindi, un pensiero di tipo user-centric.
Prima di mettersi davanti ad un computer, fare UX significa conoscere le persone per le quali dobbiamo progettare ed entrare in empatia con esse attraverso tutti i nostri sensi. Significa osservarle, ascoltarle, porre loro domande; significa addirittura annusare gli odori del contesto in cui vivono: sì, tutto diventa fondamentale!

Esattamente, ho detto annusare. Però non sono impazzito, continua a leggere che ti spiego meglio :)
Fin dalla nascita, possediamo 5 strumenti potentissimi che ci permettono di interagire e recuperare le informazioni nel mondo in cui viviamo: i sensi. Senza di essi sarebbe impossibile (o molto complicato) muoverci in autonomia negli spazi che ci circondano.
Proprio per questo, capire come le persone interagiscono, attraverso i sensi, nell’ambito in cui noi andiamo a curare la loro esperienza come utenti, è fondamentale.
Se per fare UX abbiamo dunque necessità di conoscere le persone, chi ci può aiutare a farlo in modo corretto?
La risposta più corretta è senz’altro la psicologia. In particolare alcuni filoni che si sono concentrati maggiormente nello studio della percezione e dell’esperienza umana.
Ovviamente questo non significa avere la presunzione di conoscerla tutta! Avere, però, dimestichezza con alcune teorie e principi aiuta il Designer a comprendere (prima) e a progettare (dopo) l’esperienza più confortevole e gratificante per il suo utente.

In questa sede vorrei iniziare da alcuni principi cardine che regolano l’interazione tra uomo e mondo reale e/o virtuale. Non sono molti, ma sono sufficienti a determinare il successo o l’insuccesso dei prodotti con i quali ci relazioniamo ogni giorno.
La cosa più affascinante (per un UX Designer, ovviamente) è che tali teorie si applicano ad un qualsiasi oggetto esistente, e settore, che possa venirti in mente.
Per iniziare a parlarne -però- è necessario scomodare uno dei padri di questa disciplina che li ha teorizzati, e che per primo si è presentato con il titolo di UX Designer.
Sto parlando di Donald Arthur Norman.
I 6 “mai più senza” UX principles.
Donald Arthur Norman, psicologo e ingegnere statunitense, insieme ad un altro guru e suo socio Jakob Nielsen, si è dedicato alla ricerca e allo studio dell’ergonomia, del design, e più in generale del processo cognitivo umano.
Ha fondato la sua analisi sulla progettazione antropocentrica, mettendo insieme due campi che ancora non comunicavano: tecnologia e psicologia.
Nel noto libro La caffettiera del masochista, “bibbia” per i veri aspiranti UX Designer, racconta le deduzione dei principi di usabilità ed ergonomia che governano il nostro mondo, fin dall’antichità.
Successivamente, in un secondo testo altrettanto degno di menzione, Emotional design, Norman sostiene che un prodotto capace di stimolare emozioni positive -attraverso un’esperienza- viene percepito come “più bello” e “meglio funzionante”.
Sono passati ormai 30 anni dall’uscita del suo primo testo, eppure i principi elencati godono tutt’oggi di ottima salute e attualità.
Vediamoli insieme. ?

…
1. Affordance

L’affordance (che potremmo tradurre con “invito”) si definisce come la qualità fisica di un oggetto che suggerisce le azioni appropriate per manipolarlo.
Come scrive Norman,
Le affordance percepite ci aiutano a indovinare quali azioni siano possibili, senza bisogno di cartelli o istruzioni.
Nell’interactive design l’affordance rappresenta la prima regola fondamentale: essere intuitivo. Ovvero, l’interfaccia deve risultare comprensibile fin dal primo sguardo, senza necessitare di istruzioni (etichette, testi, CTA).
2. Significanti

I significanti sono “elementi” che arricchiscono un oggetto, raccontando il significato intrinseco dello stesso. In altre parole, segnalano le azioni possibili attraverso quell’oggetto e in che modo eseguirle. Hanno il compito di innescare il Feedforward, ovvero anticipare esattamente cosa succederà.
I significanti devono essere percepibili, altrimenti non funzionano.
– Donald Arthur Norman
Un classico esempio è il maniglione anti-panico di una porta, non serve conoscerlo e nemmeno accompagnarlo dalla scritta “spingere”. Esiste un solo modo corretto per usarlo.
Nell’interattività, per poter sfruttare il concetto di significanti, bisogna stare attenti a non commettere due gravi errori ?:
- I significanti che non significano: cioè l’utilizzo di testi (nelle call-to-action) che non raccontano chiaramente l’azione o la pagina che l’utente sta per visitare.
Per fare un esempio basti pensare al superfluo Clicca qui, che risulta una vera tautologia: è ovvio che un bottone necessiti di essere cliccato, raccontami cosa succede se lo faccio!
Un altro esempio simile di errore di significante è lo Scopri di più, inserito spesso in maniera troppo generica in testi, video o CTA.
Come scrive Yvonne Bindi, architetto dell’informazione ed esperta di linguaggio e comunicazione, nel suo “Language design. Guida all’usabilità delle parole per professionisti della comunicazione”:
“Scopri diventa così una parola di navigazione vuota, fin troppo palesemente presa in prestito dal marketing.” - L’eccesso di icone: Nella progettazione visiva, l’utilizzo sovrabbondante di icone, o forzato dove non necessario, dà luogo a quello che si definisce inquinamento visivo. L’utente viene sovraccaricato di informazioni ed è quindi messo in difficoltà nella fruizione del prodotto.L’icona è utile quando da sola rappresenta qualcosa in maniera inequivocabile, senza essere accompagnata da testi. È inoltre necessario prestare molta attenzione alle convenzioni culturali, anche se a volte noiose, alle quali il nostro utente appartiene. Per intenderci, Home si rappresenta con una casa e non con un palazzo o una fattoria.
3. Mapping

Quante volte hai sbagliato l’interruttore della luce o la manopola del piano cottura?
Ecco, significa che c’è stato un errore di mapping in fase progettuale.
Il principio della mappatura indica la relazione tra due cose, ad esempio tra l’azionamento di un tasto ed i suoi effetti. Un buon mapping tiene conto dei modelli culturali appresi o delle analogie spaziali.
Pensiamo all’attivazione delle frecce di direzione di un’auto.
Per indicare la destra occorre spostare la leva verso l’alto (facendo un movimento semicircolare verso destra) e viceversa per la sinistra si sposta la leva verso il basso.
A proposito Norman scrive:
Quando il mapping usa la corrispondenza spaziale fra la collocazione dei comandi e quella dei dispositivi comandati, è facile capire come usarli.
Nel web design il mapping è estremamente legato ai significanti ed è veicolato dalla posizione e dal comportamento degli elementi. L’esempio più classico è lo scroll verticale in una schermata, che indica dove ti trovi rispetto alla pagina. Mentre lo trascini verso il basso (o l’alto) la pagina si sposta alla stessa velocità, mantenendo la condizione di posizionamento nello spazio.
4. Vincoli

I vincoli sono indizi potenti, che limitano l’insieme delle azioni possibili.
– D. Norman.
I limiti si dividono in fisici, culturali, semantici e logici, a seconda del contesto, ma definiscono, con la stessa forza, degli “obblighi” che guidano l’utente all’interno di un percorso.
In un’interfaccia i vincoli possono essere ovvi, come quelli fisici della dimensione dello schermo, o più raffinati, come quelli logici di un’icona disattivata.
Sono vincoli logici, di anticipazione, le immagini metà dentro lo schermo e metà fuori, che permettono di intuire uno slideshow e fare swipe. Oppure la visualizzazione degli step di un processo, ad esempio durante il checkout di un e-commerce, che permettono all’utente di capire immediatamente qual è il percorso da seguire per arrivare alla fine (e soprattutto quanto manca!).
5. Feedback

Il feedback (che possiamo tradurre come “risposta”) è un messaggio di ritorno, da parte di un oggetto, che ci comunica che la nostra azione è stata recepita.
Norman in merito ci fa notare che
il feedback dev’essere immediato, anche un ritardo di un decimo di secondo può essere sconcertante.
Ogni giorno riceviamo feedback da parte dei prodotti/servizi che utilizziamo: la luce sul tasto dell’ascensore appena chiamato, o del semaforo pedonale o ancora della macchina del caffè. Ci permettono di avere delle conferme, senza brancolare nel buio dell’incertezza.
Anche, e soprattutto, nel web il feedback è fondamentale. Quando selezioniamo una cartella con il click del mouse, ad esempio, la cartella assume un colore differente, che ci comunica che il sistema ha appreso la nostra richiesta.
Se, al contrario, questo tipo di feedback non si verificasse, continueremmo a cliccare spasmodicamente sulla cartella, in preda ad un senso di frustrazione (perché non si apre?!).
6. Modello concettuale
Un modello concettuale è la spiegazione, di solito molto semplificata, di come funziona una cosa.
– D. Norman.
Un buon esempio che ci aiuta a capire sono le icone dei file e delle cartelle sul computer.
Nel computer non ci sono davvero fogli o cartelle ma, il concetto di “raccoglitore” (recuperata dal modo in cui organizziamo le cose nella realtà) ne facilita la comprensione e l’interazione.
L’interactive design, come abbiamo appena capito, fa ampio uso di questo principio.
In associazione ai significanti (Home = casa, Taglia = forbici, Imbuto = filtra), i modelli concettuali ci permettono di associare un’azione virtuale ad una che compiamo nel quotidiano, e quindi più concreta, per una comprensione immediata e semplice.
In fase di progettazione risulta importante tenere conto del fatto che, come nella realtà, anche nell’esperienza virtuale gli utenti si aspettano una risposta simile a quella che vivono nel quotidiano.
Conclusione
I 6 principi di Norman sono senza tempo perché basati sulla psicologia umana, e applicarli nella progettazione è un modo per assicurarsi un livello nettamente maggiore di usabilità e chiarezza.
Devo però essere onesto nel dirti che non sono gli unici e non è sufficiente conoscere solo questi. Esistono altre teorie molto interessanti che spiegano il complesso modo, quanto affascinante, in cui le persone agiscono di fronte agli stimoli quotidiani.
E soprattutto ricordati che, nonostante all’inizio possa sembrare complicato, diventare UX Designer è un percorso che va coltivato giorno dopo giorno. (Come per ogni cosa, d’altronde).
Presta attenzione ad ogni esperienza che vivi sulla tua pelle, perché ognuna di esse corrisponde ad un piccolo mattoncino che darà forma alla tua sensibilità di progettista.
Alla prossima,
Lorenzo.
molto interessante!
Fossi in te metterei la fonte da cui hai palesemente preso il testo cambiando solamente qualcosina…
Ciao Manuel, a che fonte ti riferisci?
Spiegazioni assolutamente fantastiche, davvero complimenti! È stato decisamente piacevole leggere le regole sovrastanti! Dovendo obbligatoriamente aggiungere che il vostro sito è un qualcosa di magnifico…
“Se, al contrario, questo tipo di feedback non si verificasse, continueremmo a cliccare spasmodicamente sulla cartella, in preda ad un senso di frustrazione (perché non si apre?!).”
Da morire ahah 😂